Prossime edizioni INTERNAZIONALI in programmazione
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P e r c h è    i l    V O I C E t o T E A C H

 

P R E S E N T A Z I O N E

 

a cura di Franco Fussi

 

 

L’apprendimento di un codice per creare un’opera d’arte ha bisogno di una metodologia. Spesso, la tentazione della didattica della voce, ma vale anche per gli ambiti di patologia e salute, è quella di rendere assolute le procedure per ottenere un determinato risultato percettivo-acustico o riabilitativo, creando “IL” metodo, mettendo il copyright su alcune felici e funzionali intuizioni educative e dando ad esse delle etichette come panacea per tutti i mali, in questo caso per tutte le condotte vocali. Le esigenze della voce nell’arte e le esigenze della cura delle disodie, invece, sono altre. La finalità di una buona condotta terapeutica o pedagogica è far sì che il paziente o l’allievo possano diventare autonomi, capace cioè di affrontare le difficoltà, sempre diverse, che nel corso della vita incontreranno in relazione all’uso della voce. Ciò equivale a portare l’allievo, passo dopo passo, a un utilizzo efficace ed economico  della vocalità, dunque rendere la persona esperta nel riconoscere: le occasioni di abuso vocale, le situazioni potenzialmente pericolose, i segni organici di surmenage e di affaticamento. In vista di queste finalità è importante privilegiare l’atteggiamento educativo su quello addestrativo, sia che si approcci l’abilitazione vocale tramite metodi globali, olistici, come quelli che fanno giustamente ricorso alle metafore,  sia che si approcci attraverso metodi rigidamente codificati.

 

Se l’eufonia fisiologica che noi medici e terapisti ci preoccupiamo di garantire a un performer, attraverso le nostre cure, è in relazione a una buona condotta di igiene vocale, per preservare l’epitelio vibrante da invecchiamento, affezioni e traumatismi tecnici, i maestri di canto, da parte loro, perseguono tale obiettivo attraverso l’applicazione di tecniche di esercizio che permettano di ottenere la massima resa performativa con il minor sforzo delle corde vocali. Pur tuttavia, a prescindere da questo, dobbiamo fare i conti anche con quella che è considerata l’eufonia dello stile, cioè l’appropriatezza dell’emissione in relazione al particolare codice esecutivo impiegato, quei multiformi aspetti che sia in campo classico sia, soprattutto, in campo moderno, vengono messi in gioco dalle esigenze estetiche dello stile. Il compito della foniatria al servizio dell’arte vocale non è solo quello di osservare le corde vocali e valutarne l’assenza di patologie, ma è anche quello di indagare la congruità degli elementi di funzione nello specifico performativo. Dunque dare ragioni acustiche alle terminologie in uso.

 

I metodi olistici contemplano la voce e il corpo nella loro globalità e il “gesto vocale” nella sua interezza, perché l’arte è metafisica. L’educazione, in essi, procede per propriocezioni, ma l’individuazione delle propriocezioni è veicolata spesso attraverso le utilissime metafore della tradizione didattica del belcanto, la sensazione vibratoria in maschera, lo sbadiglio, ecc. Ugualmente a livello riabilitativo esistono approcci globali al suono attraverso l’esperienza corporea. Il rischio esiste: si procede per immagini, ma queste possono essere recepite equivocamente, perché non esistono un linguaggio assoluto e una esperienza condivisa. Ad esempio, nel canto classico, le esigenze, nei decenni, sono mutate col mutamento dello stile e delle urgenze acustiche, sia per quanto riguarda l’approccio respiratorio sia soprattutto per la gestione dei risuonatori (tecniche di punta, di cavità, ecc.). Un altro rischio è quello di applicare il concetto olistico in grado così estremo da far pensare alla vocalità come qualcosa di magico e non corporeo, difficilmente trasmissibile, didatticamente vago. L’opera d’arte diventa solo contorno, linea, emozione del segno.

 

I metodi più tecnici, dal canto loro, procedono per eserciziari, costruiscono l’opera d’arte per tasselli, a mosaico, dimenticando l’insieme, e  dedicandosi più all’addestramento delle prassie che alla propriocezione.  In realtà i metodi tecnici si basano su comportamenti condivisi per ottenere un controllo selettivo e consapevole delle strutture, e rimangono ancorati ai dati fisiologici, dove l’apprendimento procede per addestramento, con il rischio di assolutizzare e cristallizzare la vocalità in stereotipi rigidi e vincolanti. In una sorta di soluzione matematica, di allenamento rigido delle prassie, impedendo (se attuati in maniera assolutistica) la liberazione del gesto vocale in accordo con l’elemento musicale interpretativo. Spesso questi metodi si dimenticano del corpo e del corpo scenico. Ugualmente, a livello riabilitativo, esistono approcci metodologici un po’ rigidi, dove si rischia di procedere per ricette standardizzate e acritiche dal primo all’ultimo esercizio, per insegnare prassie motorie specifiche. Indubbiamente, ricordiamo, esistono voci (dunque persone) che prediligono e funzionano meglio col primo di tali approcci, mentre  trovano più vantaggio col secondo, in base alle caratteristiche individuali di apprendimento. La finalità però è arrivare alla consapevolezza del gesto, e questo può accadere solo attraverso una miscela delle due componenti fondanti, che realizzano insieme l’integrazione tra la ragione e il sentimento. Il segreto è non imporre, ma mettere in grado l’altro di trovare la propria voce, che significa liberare la persona dai blocchi che l’accompagnano. E' questa la finalità dell'approccio integrato immaginato da Eleonora Bruni ed Erika Biavati nel tentativo di far dialogare e porre a positivo confronto le metodologie della didattica del canto, senza erigere staccionate o rivendicazioni pedagogiche, per estrapolare ciò che di volta in volta può essere utile al nostro allievo e alla sua voce.